Aspetti giuslavoristici e penalistici.
La normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro costituisce da sempre un tema sensibile per i datori di lavoro, ciò vale ancor più nell’attuale momento storico in cui occorre far fronte alla complessa situazione derivante dall’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Qual è il fondamento normativo in tema di gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro?
I principi costituzionali costituiscono base e fondamento in materia di gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (dove è più elevato il rischio di contrazione di virus). Tuttavia, proprio trattandosi di valori fondamentali del nostro ordinamento, è sempre necessario effettuare un contemperamento delle contrapposte esigenze coinvolte.
L’art. 32 della Costituzione, dopo aver affermato che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, garantendo cure gratuite agli indigenti, al secondo comma specifica che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Pertanto, se è costituzionalmente affermato il diritto primario e assoluto alla salute, altrettanto costituzionalmente è sancito il diritto corrispettivo di autodeterminazione terapeutica e, quindi, il diritto di accettare, rifiutare o interrompere atti o interventi compiuti da terzi, anche se diretti a salvaguardare il proprio stato di salute.
Gli articoli 2 e 13 della Costituzione, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, ribadiscono l’inviolabilità della libertà personale e il rispetto della dignità umana; quindi, anche la tutela della libertà di scelta sul godimento del bene-salute.
Ad ogni modo, la volontarietà dei trattamenti sanitari, così come si rileva dal secondo comma dell’art. 32 Cost., non è assoluta, ma subisce un’eccezione qualora vi siano disposizioni di legge che prescrivano trattamenti sanitari obbligatori, come nel caso di malattie mentali o infettive . In questi casi, l’esigenza di tutelare la salute nella sua dimensione collettiva può limitare il diritto individuale di rifiutare trattamenti sanitari.
Invero, l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio può avvenire soltanto quando tale imposizione sia necessaria per scongiurare una situazione di pericolo per la salute della collettività, oltre che per tutelare la salute del singolo individuo sottoposto al trattamento sanitario.
In sostanza, il potere conferito dalla Costituzione al legislatore di disporre trattamenti sanitari obbligatori è legittimo soltanto quando il trattamento sanitario sia reso obbligatorio al fine di impedire che le condizioni di salute del singolo possano arrecare danno alla salute della collettività e, contemporaneamente, detto trattamento non danneggi, ma anzi sia utile, alla salute di chi vi è sottoposto.
Tale condizione rappresenta, quindi, il limite costituzionale all’imposizione di trattamenti sanitari obbligatori da parte del legislatore.
Quali sono i requisiti da rispettare per legittimare il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio?
Il concetto di pericolo per la salute collettiva che possa legittimare il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio, per non essere generico con riferimento sia al concetto di collettività sia all’intensità del rischio, deve rispettare alcuni requisiti. In particolare:
- il pericolo per la salute della collettività deve coinvolgere la salute dell’intera popolazione poiché ha in sé una potenzialità lesiva espansiva in grado di colpire la salute di una pluralità indeterminata di individui indistinti e generici;
- il pericolo per la salute pubblica che può legittimare la previsione legislativa di un trattamento sanitario obbligatorio deve essere rilevante sia nel senso che l’evento temuto deve avere un’apprezzabile grado di possibilità di verificarsi, sia nel senso che il danno temuto deve essere significativo e non relativo a patologie che ordinariamente, in sé considerate, abbiano sulla salute conseguenze temporanee e/o di lieve entità;
- inoltre, non deve essere volontariamente assunto dai membri della collettività, poiché altrimenti il pericolo per la salute sarebbe facilmente evitabile semplicemente mediante la non assunzione del rischio da parte degli interessati, senza alcuna necessità di obbligare degli individui a trattamenti sanitari non richiesti e non voluti;
- non deve essere evitabile con misure alternative all’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio, in quanto, in caso contrario, lo Stato sarà tenuto a porre in essere le misure, diverse dai trattamenti sanitari obbligatori, in grado di evitare il pericolo per la salute collettiva senza il sacrificio della libertà personale dei cittadini.
Alla luce di tanto, appare evidente che il virus, causa dell’attuale epidemia da Coronavirus, costituisce certamente un pericolo per la salute della collettività, avendo in sé una potenzialità lesiva espansiva in grado di colpire la salute di una pluralità indeterminata di individui indistinti e generici. E’, inoltre, rilevante sia nel senso che l’evento temuto può avere un apprezzabile grado di possibilità di verificarsi, sia nel senso che il danno temuto è significativo e non relativo a patologie che ordinariamente, in sé considerate, abbiano sulla salute conseguenze temporanee e/o di lieve entità.
E’ proprio ciò che giustifica, per l’intera popolazione, l’adozione di provvedimenti che incidono sulle libertà personali (movimenti, distanza interpersonale di sicurezza, quarantena, obbligo di non allontanarsi dal domicilio), sia trattamenti sanitari o assimilabili (uso di dispositivi di protezione individuale, quali mascherine e guanti, tamponi faringei o test sierologici, ricoveri anche in reparti di rianimazione, intubazione).
Quali sono le disposizioni del codice civile che impongono ai lavoratori trattamenti sanitari e quali sono i limiti previsti?
Nel settore della medicina del lavoro, la disposizione legislativa di carattere generale è l’art.2087 c.c. che stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
La norma impone all’imprenditore, in ragione della sua posizione di garante dell’incolumità psicofisica del lavoratore, di adottare tutte le misure atte a salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze.
Tale norma è in stretto collegamento con le disposizioni costituzionali poste a difesa del diritto alla salute (32 Cost.) e del rispetto della sicurezza e della libertà e dignità umana nell’esplicazione dell’iniziativa economica (41 Cost.).
La giurisprudenza riconosce alla responsabilità del datore di lavoro sia natura contrattuale sia extracontrattuale, con conseguente diritto del lavoratore ad attivare entrambe le azioni, anche in concorso, per la tutela dei suoi diritti.
Poiché, in materia di sicurezza sul lavoro, il datore di lavoro è tenuto a uniformarsi alla migliore scienza ed esperienza del momento storico nella specifica attività svolta, in caso di malattia professionale o di infortunio, una volta provato il nesso causale con il lavoro, è compito del datore di lavoro dimostrare di avere fatto tutto il possibile per prevenire l’evento.
Si precisa che l’art. 2087 c.c. ha carattere generale e anche sussidiario, poiché integra la specifica normativa antinfortunistica; infatti, in mancanza di misure specifiche imposte tassativamente dalla legge, il dovere di sicurezza si realizza con l’adozione dei mezzi idonei a prevenire ed evitare danni, suggeriti da comune esperienza, prudenza, diligenza, prevedibilità, riguardo all’attività svolta.
Pertanto, nell’art. 2087 si individua una norma di chiusura del sistema di tutela dell’integrità del lavoratore, rilevandone il carattere di dovere generale e la finalità prevenzionistica.
Qual è la principale normativa antinfortunistica emanata dal nostro legislatore in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e come si integra con la normativa d’urgenza emanata a seguito del contagio da Covid -19?
Il decreto legislativo 9 aprile 2008 n.81, in linea con le direttive dell’Unione Europea, contiene una serie di obblighi di carattere giuridico e tecnico, idonei a fornire un’efficace protezione dei lavoratori e di tutti coloro che, a qualsiasi, legittimo, titolo, frequentano i luoghi di lavoro.
In particolare, le disposizioni del Titolo X del D.lg. 81/2008 impongono al datore di lavoro una serie di obblighi che riguardano la valutazione del rischio (art. 271), l’adozione di misure tecniche, organizzative e procedurali (art. 272), le misure igieniche e di emergenza (artt. 273-277); inoltre, dette disposizioni disciplinano l’informazione e la formazione dei lavoratori, la sorveglianza sanitaria, l’istituzione dei registri degli esposti e degli eventi accidentali e dei casi di malattia e di decesso.
Per quanto concerne il rischio biologico, l’art. 266, definisce il campo di applicazione della disposizione (Le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici), mentre agli artt. 267 e 268 sono riportate le varie definizioni, tra le quali quella di agente biologico (qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni), e la classificazione degli stessi agenti ripartiti in quattro gruppi di rischio d’infezione.
Pertanto, il complesso processo di valutazione del rischio va posto in atto in qualsiasi attività professionale che possa esporre i lavoratori ad agenti biologici, onde stabilire la natura, il grado e la durata dell’esposizione in modo da determinare le misure profilattiche da adottare.
Detto sistema normativo appare valido ed efficace anche in questo periodo, tanto che le disposizioni adottate per fronteggiare l’emergenza da Covid-19 non apportano alcuna modifica al D.lgs. n.81/2008 e ben si armonizzano con la disciplina di settore.
Le nuove disposizioni legislative e i recenti DPCM in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, emanate per contrastare e contenere la diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro, non hanno carattere innovativo, ma costituiscono indicazioni operative finalizzate, in modo diretto o implicito, a creare, allo stato delle conoscenze scientifiche, le più opportune condizioni di cautela nei luoghi di lavoro. Anche le raccomandazioni del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro, si raccordano con principi e precetti propri del sistema di prevenzione disegnato dal d.lgs. n.81/2008, delle cui previsioni costituiscono, in taluni casi, esplicitazioni, con riguardo alla specificità del nuovo rischio.
La malattia da Coronavirus può essere configurata come infortunio sul lavoro?
La malattia da Coronavirus è configurata come infortunio sul lavoro (si parla di “malattia-infortunio”).
Invero, la causa violenta, elemento costitutivo dell’infortunio sul lavoro ex art. 2 D.P.R. 1124/65, è ravvisata nella causa virulenta di natura biologica; questo consente di ritenere che possano essere ammessi alla tutela dell’INAIL tutti quei casi di contrazione del virus da parte di lavoratori anche se non addetti al settore sanitario, qualora sia dimostrata l’eziologia professionale della stessa.
Tale classificazione garantisce una più ampia tutela dell’evento, quantomeno perché l’intervento dell’INAIL avviene non soltanto nelle ipotesi in cui il lavoro ne sia stato la causa (come avverrebbe, ai sensi dell’art. 3 T.U. n. 1124/65, se si trattasse di tecnopatia), ma anche quando il lavoro ne rappresenti la semplice occasione (v. art. 2 T.U.).
L’art. 42, secondo comma, del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (“Cura Italia”), al riguardo, dispone: “Nei casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato (…). La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.
Cos’è la sorveglianza sanitaria?
Per sorveglianza sanitaria si intende l’insieme degli accertamenti sanitari svolti dal Medico Competente finalizzati alla tutela dello stato di salute e alla sicurezza dei lavoratori, in relazione alle condizioni di salute degli stessi, all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
La sorveglianza sanitaria obbligatoria viene effettuata dal Medico Competente e costituisce uno strumento di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, in ottemperanza a quanto stabilito dal D.Lgs. 81/08.
L’obiettivo è quello di avere un monitoraggio costante dell’idoneità psicofisica di ciascun lavoratore, in relazione ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
A tal fine il datore di lavoro ha l’obbligo di nominare il Medico Competente, un esperto in medicina del lavoro con specifiche competenze, che si occupa di valutare e prescrivere al lavoratore un insieme di indagini ed esami clinici per accertare il suo stato di salute.
Il medico si basa sui risultati del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) e su sopralluoghi effettuati nell’ambiente di lavoro per individuare:
- tipologia di mansione;
- attività lavorative incluse nella mansione;
- rischi specifici per la salute relativi alla mansione.
Utilizzando, poi, tutte le informazioni inerenti alla specificità del lavoro, elabora il protocollo sanitario indicando gli esami clinici e/o strumentali più idonei cui sottoporre il lavoratore.
La legislazione propone delle linee guida per la prescrizione del protocollo sanitario, che il medico, a propria discrezione, può decidere di modificare attraverso:
- integrazione di ulteriori esami clinici, biologici e diagnostici;
- variazione della periodicità di visite e accertamenti.
Chi è il medico competente?
Il Medico Competente è un professionista sanitario i cui requisiti sono elencati nell’art. 38 del D.Lgs 81/2008 e s.m.i.
Questo è nominato dal datore di lavoro e le sue funzioni sono:
- collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione:
- alla valutazione dei rischi,
- all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza;
- alla organizzazione del servizio di primo soccorso.
- programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici;
- collaborare alla attuazione e valorizzare i programmi volontari di promozione della salute, secondo i principi della responsabilità sociale;
- visitare gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o con cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi.
Quali sono i compiti del medico competente?
I compiti del medico competente includono una parte di visite e colloqui col lavoratore e una successiva compilazione della cartella clinica dedicata alla raccolta di tutti i dati da trasmettere annualmente all’INAIL.
Il piano di sorveglianza sanitaria comprende l’insieme delle visite mediche prescritte, in genere, annualmente, per accertare o garantire l’idoneità alla mansione.
In linea generale, le visite disposte sono le seguenti:
- visita medica preventiva, per stabilire l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato e valutare l’idoneità o meno alla mansione specifica;
- visita medica periodica, per controllare lo stato di salute del lavoratore e dare eventuale continuità di idoneità alla mansione specifica;
- visita medica su richiesta del lavoratore, qualora il medico competente la ritenga inerente ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute;
- visita medica per cambio mansione e verifica dell’idoneità alla nuova attività;
- visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro, nei casi previsti dalla normativa;
- visita medica precedente alla ripresa del lavoro, in seguito ad assenza oltre i 60 giorni continuativi per malattia o infortunio.
Una volta espletati tutti gli accertamenti, per ogni lavoratore viene organizzata una cartella sanitaria e di rischio, che dovrà essere regolarmente aggiornata, con i seguenti dati:
• condizioni psicofisiche del lavoratore;
• risultati di accertamenti strumentali, di laboratorio e specialistici eseguiti dal lavoratore;
• eventuali livelli di esposizione professionale individuali forniti dal Servizio di prevenzione e protezione;
• giudizio di idoneità o meno alla mansione specifica.
Quali sono i giudizi che possono essere espressi?
La sorveglianza sanitaria è finalizzata (D.Lgs. 81/2008, art. 41, comma 6) all’espressione dei giudizi di idoneità alla mansione specifica che vanno obbligatoriamente comunicati per iscritto al Datore di Lavoro e in copia al lavoratore stesso.
I giudizi possono essere di:
• idoneità;
• idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
• inidoneità temporanea;
• inidoneità permanente.
Il giudizio di idoneità ed i limiti di validità del medesimo sono comunicati per iscritto al datore di lavoro.
Cosa è previsto nel D.Lgs. n. 81/2008 con riferimento alla sorveglianza sanitaria e quali sono gli obblighi specifici del datore di lavoro?
L’art. 2 lett. m) del d.lgs. n.81/2008 definisce la sorveglianza sanitaria come “insieme di atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa”.
Nel nostro sistema normativo in tema di salute e sicurezza del lavoro non per ogni attività è prevista la sorveglianza sanitaria, in quanto ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. a) del d.lgs. n.81/2008, questa è prevista soltanto per quelle attività previste da specifiche disposizioni di legge o indicate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza su lavoro, istituita presso il Ministero del lavoro.
Peraltro, secondo la lett. b) del medesimo comma, la sorveglianza sanitaria è effettuata anche quando il singolo lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.
Ancora, con specifico riferimento ai casi di esposizione ad agente biologico, l’art. 279, primo comma, stabilisce che “qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità, i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41”, così ampliando il numero delle fattispecie di controllo, a fini sanitari, sui lavoratori.
Quando è obbligatoria la sorveglianza sanitaria?
La sorveglianza sanitaria è obbligatoria, secondo quanto stabilito dal Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08), nei seguenti casi:
• rischio chimico;
• rischio rumore e vibrazioni;
• movimentazione manuale dei carichi;
• agenti fisici pericolosi in genere (amianto, piombo, radiazioni);
• videoterminalisti che trascorrono più di 20 ore settimanali al computer;
• lavoro notturno;
• lavoro in alta quota;
• lavoro in ambienti confinati;
• lavoro su impianti ad alta tensione;
• rischio agenti cancerogeni e mutageni;
• rischio agenti biologici.
Il lavoratore è obbligato a sottoporsi agli accertamenti previsti?
Il lavoratore è obbligato a sottoporsi agli accertamenti previsti se, in base al Documento di Valutazione dei Rischi (D.Lgs. n. 81/2008, artt. 17 e 28), risulta esposto ai fattori di rischio per i quali le norme di legge impongono la sorveglianza sanitaria; contemporaneamente il datore di lavoro è obbligato a far sottoporre i lavoratori a visita medica (D.Lgs. n. 81/2008, artt. 18 e 20).
In assenza di tali rischi gli accertamenti sanitari sono rigorosamente vietati, fatta eccezione per le visite richieste dal lavoratore.
In ogni caso le norme che obbligano e vietano sono da intendersi a tutela e salvaguardia del lavoratore.
La mancata applicazione di tali indicazioni prevede sanzioni di tipo penale sia per il Datore di Lavoro e che per il Medico Competente.
Cosa è previsto a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 in materia di Sorveglianza Sanitaria?
Il Ministero della Salute ha fornito indicazioni rispetto al ruolo del medico competente nell’ambito della prevenzione del contagio da Covid-19 all’interno dei luoghi di lavoro.
In particolare ha emanato la Circolare Ministeriale del 29 aprile 2020 (consultabile al seguente link: http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2020&codLeg=73956&parte=1%20&serie=null ).
Il medico competente deve collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori (art. 25 D.Lgs. 81/2008).
Nello specifico, il medico competente è chiamato a supportare il datore di lavoro nella valutazione del rischio e ad operare la sorveglianza sanitaria in un contesto peculiare quale quello del rientro al lavoro in periodo pandemico.
Nel contesto dell’emergenza epidemiologica il medico competente deve:
• supportare il datore di lavoro nella attuazione delle misure di contenimento del rischio, contestualizzandole rispetto alle differenti tipologie di attività produttive ed alle singole realtà aziendali;
• collaborare con riferimento all’informativa nei confronti dei lavoratori;
• collaborare alla valutazione dei rischi correlati al rientro al lavoro, operando vigilanza sanitaria;
• essere coinvolto nelle fasi iniziali di individuazione delle misure organizzative e logistiche. In particolare, il datore di lavoro deve informarlo in merito a quanto già pianificato, anche al fine di agevolare l’individuazione, in corso di sorveglianza sanitaria, di eventuali prescrizioni e/o limitazioni da poter efficacemente introdurre nel giudizio di idoneità.
Le visite mediche comprese nella sorveglianza sanitaria (art. 41 D.Lgs. 81/2008) devono essere garantite, purché il medico possa svolgerle nel rispetto delle misure igieniche.
Se possibile, le visite mediche devono svolgersi in una infermeria aziendale, o ambiente idoneo di congrua metratura, con adeguato ricambio d’aria, che consenta il rispetto dei limiti del distanziamento sociale, idonee protezioni e un’adeguata igiene delle mani.
Ancora, la programmazione delle visite mediche deve essere organizzata in modo tale da evitare assembramenti.
Infine, occorre un’adeguata informativa ai lavoratori anche al fine di evitare che accedano alla visita con febbre e/o sintomi respiratori seppur lievi.
Tra le attività ricomprese nella sorveglianza sanitaria devono essere privilegiate le visite urgenti e indifferibili, come:
• la visita medica preventiva, anche in fase preassuntiva;
• la visita medica su richiesta del lavoratore;
• la visita medica in occasione del cambio di mansione (il medico competente deve valutare l’eventuale urgenza ed indifferibilità tenendo conto sia dello stato di salute del lavoratore all’epoca dell’ultima visita effettuata, sia dell’entità e tipologia dei rischi presenti nella futura mansione);
• la visita medica precedente alla ripresa del lavoro dopo assenza per malattia superiore a 60 giorni continuativi.
In linea generale, possono essere differibili, previa valutazione del medico stesso, in data successiva al 31 luglio 2020:
• la visita medica periodica (art. 41, c. 1 lett. b) del D.Lgs. 81/2008);
• la visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro, nei casi previsti dalla normativa vigente (art. 41, c. 1 lett. e) del D.Lgs. 81/2008).
In caso di lavoratori che hanno contratto il virus e che sono guariti (come dimostrato dalla certificazione di avvenuta negativizzazione), il medico competente deve effettuare la visita medica prevista (art. 41, c. 1. lett. e-ter. del D.Lgs. 81/2008) al fine di verificare l’idoneità alla mansione – anche per valutare profili specifici di rischiosità – indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia.
Come deve avvenire la sorveglianza sanitaria in questo particolare periodo?
La sorveglianza sanitaria deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute (cd. decalogo).
Vanno privilegiate, in questo periodo, le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia.
La sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta una ulteriore misura di prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagi.
Quali sono i compiti del medico competente e del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in questo particolare periodo?
Nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19 il medico competente collabora con il datore di lavoro e il Rappresentante del lavoratori per la sicurezza / Rappresentante del lavoratori per la sicurezza territoriale.
Il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy.
Il medico competente applicherà le indicazioni delle Autorità Sanitarie. Inoltre, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori.
Alla ripresa delle attività, occorre che il medico competente sia coinvolto per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da COVID- 19.
Per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID19, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone, effettuerà la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione (secondo quanto previsto dal D.Lgs 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter), anche per valutare profili specifici di rischiosità.
Quali sono le sanzioni penali previste in caso di mancato rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro inerente la sorveglianza sanitaria dei lavoratori?
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la Circolare 12 ottobre 2017 n. 3 (consultabile al termine del presente approfondimento) ha fornito indicazioni circa le sanzioni da applicare in caso di mancato rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro inerente la sorveglianza sanitaria dei lavoratori.
Con riferimento all’obbligo di sorveglianza sanitaria sono individuate tre differenti fattispecie cui ricondurre i comportamenti omissivi. Per ognuna di queste sono previste specifiche sanzioni penali ed amministrative.
In particolare, le fattispecie omissive sanzionabili consistono:
- in caso di mancata valutazione dello stato di salute del lavoratore, al fine dell’affidamento dei compiti specifici, che non dipendono dai rischi presenti nell’ambiente di lavoro, ma dalla capacità del lavoratore stesso di svolgerli (es. lavori in quota, lavori in sotterraneo o in ambienti chiusi in genere, lavori subacquei, ecc…) nell’arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.474,21 a 6.388,23 euro per la violazione dell’articolo 18 comma 1 lettera c) (ex art. 55, co. 5, lett. c) del D.Lgs. n.81/2008);
- in tutti i casi in cui la normativa vigente prevede l’obbligo di attivazione della sorveglianza sanitaria (e quindi nomina del Medico Competente) e ciò non sia stato attuato [inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto (ex art. 18 lettera g) del D.Lgs. n. 81/2008)] e nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, non sia stato comunicato tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro [ex art. 18, lettera g bis) del D.Lgs. n. 81/2008)] nell’ammenda da 2.457,02 a 4.914,03 euro per la violazione dell’art. 18, co. 1, lettera g) dell’anzidetto decreto legislativo [ex art. 55, co. 5, lett. e) del medesimo testo di legge] e nella sanzione amministrativa pecuniaria da 614,25 a 2.211,31 euro per la violazione dell’art. 18, co. 1, lett. g bis del D.Lgs. n. 81/2008 [ex Art. 55, co. 5 lett. h) del medesimo decreto].
La sanzione è raddoppiata se si riferisce a più di cinque lavoratori (triplicata se riferita a più di dieci lavoratori); - nei casi in cui nei confronti del lavoratore soggetto a sorveglianza sanitaria (e che è stato sottoposto a visita, esami clinici e biologici o indagini diagnostiche), non sia stato ancora espresso il giudizio di idoneità e lo stesso sia già adibito a quella specifica mansione (ex art. 18, lett. bb) del D.Lgs. n. 18/2008), essendo evidente il difetto di vigilanza del datore di lavoro o del dirigente, nella sanzione amministrativa pecuniaria da 1.228,50 a 5.528,28 euro (ex art. 55, co. 5, lett. g) del medesimo Decreto Legislativo).
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha specificato, altresì che, se l’omessa sorveglianza sanitaria viene riscontrata in settori diversi dall’edilizia, gli ispettori del lavoro devono comunicare la notizia di reato all’Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 347 c.p.p..
E’ opportuno rilevare che le sanzioni previste in caso di violazione degli obblighi in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono state oggetto di rivalutazione con il Decreto Direttoriale n. 12 del 6 giugno 2018.
A seguito di ciò, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha emanato una circolare (la n. 314 del 22 giugno 2018 consultabile al termine del presente approfondimento) che, effettuando alcune precisazioni sul tema, fornisce un completo riepilogo delle ammende e sanzioni amministrative originarie, rivalutate nel 2013, attualmente in vigore e di quelle applicabili sulle violazioni accertate a partire dal 1 luglio 2018.
Tutti gli importi (ammende e sanzioni) aumentano dell’ 1,9 %, per effetto dell’applicazione della variazione dell’indice ISTAT calcolata sugli ultimi 5 anni (come previsto dall’art. 4 bis dell’art. 306 Testo Unico ).
Di seguito una tabella riassuntiva degli importi rivalutati nel 2013 e nel 2018, relativi alle principali fasce di ammenda.
SANZIONI ORIGINARIE | RIVALUTAZIONE 2013 (0.9%) | RIVALUTAZIONE 2018 (1,9%) |
1000 – 4000€ | 1.096,00 – 4.384,00 | 1.116,82 – 4.467,30 € |
1200 – 5200 € | 1.315,20 -5.699,20 | 1.340,19 – 5.807,48 € |
1500- 6000 € | 1.644,00 -6.576,00 | 1.675,24 -6.700,94 € |
2000 – 4000 € | 2.192,00 – 4.384,00 | 2.233,65 – 4.467,30 € |
2500-6400 € | 2.740,00 – 7.014,40 | 2.792,06 -7.147,6 € |
Link utili:
- Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro aggiornato al 2020
- Circolare n.3/2017 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro
- Circolare n. 314 del 22.6.2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro
Nardò, 15 luglio 2020