Abstract.
Nelle “frodi carosello” le “presunzioni tributarie” costituiscono elementi sui quali il giudice penale può formare il proprio libero convincimento ma non possono costituire di per sé prova del fatto contestato.
1) Cosa sono le “frodi carosello”?
Nelle c.d. “frodi carosello” ricadono le fattispecie criminose di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000, rispettivamente “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” ed “emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.
La fattispecie più utilizzata riguarda la vendita di prodotti o servizi da parte di una società “interposta” (che ha acquistato gli stessi da fornitore intracomunitario, quindi senza applicazione dell’IVA) alla società “interponente” (reale interessata all’acquisto dei prodotti).
Rilevato che la successiva operazione di vendita viene svolta in Italia, la fattura dell’interposto è comprensiva d’IVA, che l’interponente versa all’interposto, permettendogli di andare a credito.
A questo punto la società interposta scompare dalla circolazione, senza provvedere al versamento dell’IVA a debito relativa alla vendita effettuata nei confronti dell’interponente.
I reati anzidetti, previsti dagli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000, infine, non prevedono soglie quantitative di punibilità, e quindi si verificano anche se trattasi di fatture di modesto importo, salva l’applicazione di un’attenuante.
Le imprese cd. “interposte” sono conosciute come “società cartiere” che, tra le altre, hanno in comune tra loro il fatto di essere una ditta individuale o società a responsabilità limitata intestate ad un “prestanome”, nullatenente senza una specifica competenza imprenditoriale.
La frode carosello consiste quindi nell’interposizione di soggetti fittizi nelle transazioni effettuate ed il contestuale omesso versamento dell’imposta mentre la fatturazione di un’operazione inesistente presuppone una divergenza tra realtà commerciale e documentale.
L’elemento psicologico richiesto in materia dei reati di frode carosello è il dolo specifico.
2) Il criterio del riparto dell’onere della prova tra Fisco e contribuente.
Nella recente sentenza n. 36915 del 22/12/2020 la Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito fiscale.
Nel caso sottoposto al giudizio della Suprema Corte, il legale rappresentante di una S.r.l. era stato condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 D.lgs. 74/2000).
La Corte di Cassazione ha chiarito che non è l’imputato che nel processo penale deve fornire la prova della propria innocenza ma è l’Agenzia delle Entrate che deve provare la sua penale responsabilità, giacché non è ammessa un’inversione dell’onere probatorio analoga a quella del processo tributario.
Nel processo penale, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non bastano da sole per ottenere una sentenza di condanna ma dovranno trovare un riscontro oggettivo o in distinti elementi probatori o in altre presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.
Sarà pertanto compito dell’Agenzia delle Entrate dimostrare la sussistenza di elementi di colpevolezza a carico del contribuente.
Ciò posto, è chiaro quindi che gli elementi raccolti dall’Amministrazione finanziaria hanno valore di meri indizi per il giudice penale, che dovrà autonomamente valutarli, unitamente al restante materiale probatorio.
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L'avv. Mariagrazia Barretta si occupa prevalentemente di diritto penale. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali ottenendo con il massimo dei voti la qualifica di Specialista.
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