I Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 e del 22 marzo 2020, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, hanno previsto la sospensione obbligatoria della maggior parte delle attività economiche sull’intero territorio nazionale.
Sono sospese, tra le altre, tutte le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari, per le farmacie e le parafarmacie, per i tabaccai, per le edicole e per i venditori di certi generi di prima necessità; tutte le manifestazioni organizzate, nonché gli eventi in luogo pubblico o privato quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; le attività di ristorazione e bar; le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali, centri culturali, centri sociali, centri ricreativi. In definitiva, sono sospese tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle fondamentali.
La disponibilità dei locali in cui vengano esercitate le attività economiche sopra menzionate è solitamente ottenuta mediante la stipulazione di contratti di locazione commerciale.
Inevitabile sarà, pertanto, il configurarsi di complicanze rispetto all’esecuzione degli stessi.
Vediamo dunque come può tutelarsi il conduttore che veda paralizzata la propria attività e negato il diritto di godere dell’immobile locato, senza però aver prima precisato come non possa essere individuata una risposta univoca ai quesiti che seguono, stante la assoluta novità della situazione da fronteggiare e la conseguente assenza di precedenti sul punto. Sarà pertanto imprescindibile, per una più puntuale analisi delle fattispecie, una valutazione che tenga conto delle circostanze del caso concreto.
Può il conduttore, in ragione del proprio impedimento a godere dell’immobile oggetto della locazione, sospendere il pagamento del relativo canone?
La risposta al quesito posto è negativa. Tentiamo di capirne insieme le ragioni.
In linea di principio, il conduttore che non possa godere dell’immobile locato può sospendere il pagamento del canone essendo il locatore inadempiente ad una delle sue obbligazioni principali, ovvero quella di garantire al conduttore il pieno e pacifico godimento dell’immobile (art. 1575 c.c.).
Questi potrà avvalersi, più nel dettaglio, di una delle rare forme di autotutela privata consentite dal nostro ordinamento. Il riferimento è alla “eccezione di inadempimento”, prevista dall’art. 1460 c.c., ai sensi del quale: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria […]».
Il presupposto perché possa invocarsi l’art. 1460 consiste dunque nella sussistenza di un inadempimento.
Nel caso in esame, non v’è di contro alcun inadempimento del locatore.
Il godimento del bene, a seguito dell’entrata in vigore dei provvedimenti citati, resta astrattamente possibile ed il bene idoneo all’uso convenuto. Tuttavia, il sopravvenire degli stessi provvedimenti, ha determinato la non fruibilità del bene o la sua fruibilità condizionata all’osservanza di severe prescrizioni, comportando di fatto, a carico del conduttore, la sopravvenuta inutilizzabilità, totale o parziale, dell’immobile.
Non essendovi un inadempimento da parte del locatore, non potrà evidentemente invocarsi l’eccezione di inadempimento e dunque non potrà essere sospeso il pagamento del canone.
Tuttavia, il mancato pagamento del canone di locazione da parte del conduttore costretto a cessare l’attività per un lasso apprezzabile di tempo potrebbe non essere considerato inadempimento laddove la temporanea impossibilità della prestazione derivi da causa, da verificare rigorosamente e caso per caso, a lui non imputabile.
Beninteso, nulla impedisce alle parti, nell’esercizio della propria autonomia privata, di prevedere una sospensione temporanea nel pagamento dei canoni per il periodo interessato dall’emergenza sanitaria e dai pertinenti provvedimenti restrittivi.
È consentito al conduttore sciogliersi dal contratto di locazione qualora venga meno il suo interesse al mantenimento dello stesso?
- La disciplina dettata in materia di locazione commerciale prevede innanzitutto il diritto del conduttore di recedere dal contratto in qualsiasi momento, dando sei mesi di preavviso, qualora ricorrano gravi motivi (art. 27 co. 7, 8 legge 392/1978).
Tale disciplina, tuttavia, può rivelarsi poco efficace nel tutelare il conduttore nell’ipotesi in cui questi ravvisi l’esigenza di sciogliersi con effetto immediato dal contratto, senza dover attendere i sei mesi di preavviso, durante i quali dovrà comunque corrispondere il canone mensile dovuto.
- Al fine di ovviare a tale inconveniente, il conduttore potrà ricorrere alla risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1463 c.c.), che consente alla parte colpita dalla sopravvenienza (il conduttore, nel nostro caso) di risolvere il contratto nel momento in cui viene resa la dichiarazione di risoluzione (efficacia dichiarativa della sentenza che accerta la legittimità della risoluzione).
Si badi bene. Potrà a ragione invocarsi il detto art. 1463 c.c., solo ove l’impossibilità nel godimento sia totale e definitiva. Cosa significa? A titolo esemplificativo, si pensi all’ipotesi in cui una determinata attività, per sua natura, presupponga una produzione senza soluzione di continuità e che l’interruzione della stessa, per effetto della sospensione obbligatoria, comporti il definitivo deterioramento del bene oggetto di produzione. È evidente che, in un caso simile, la esecuzione differita della stessa attività si rivelerebbe del tutto inutile per soddisfare l’interesse che aveva spinto il conduttore a stipulare la locazione sicché la prestazione verrebbe ad assumere i connotati della definitiva e assoluta impossibilità.
Nel riferirci genericamente alla disciplina della impossibilità sopravvenuta, la peculiarità della vicenda che ci investe impone delle opportune precisazioni.
- Se, prima facie, parrebbe essere l’obbligo del locatore ad essere divenuto impossibile, la cui obbligazione principale di garantire il pieno e pacifico godimento dell’immobile sembrerebbe divenire impossibile per effetto di una disposizione legislativa che impone la sospensione obbligatoria degli esercizi commerciali, ad una più attenta valutazione, emerge come l’impossibilità colpisca in realtà il diritto del conduttore a godere dell’immobile locato.
La prescrizione legislativa citata in apertura, difatti, non sopravviene sulla possibilità di disporre di un particolare immobile oggetto di un determinato contratto di locazione, bensì in generale sulla facoltà di utilizzare, allo scopo di esercitare le attività economiche specificate, un qualunque immobile.
Non è pertanto il godimento di uno specifico immobile ad essere divenuto impossibile ma, cosa ben diversa, l’esercizio stesso dell’attività economica, che nessun immobile potrà consentire.
Le cause dell’impossibilità di disporre del bene locato non sono da individuarsi in qualità o caratteristiche intrinseche allo stesso bene, che lo rendano inidoneo all’uso convenuto, ed imputabili ad una condotta colposa o dolosa del locatore.
L’impossibilità, dunque, non riguarda la prestazione dovuta dal locatore, astrattamente possibile, bensì l’utilizzazione della stessa dal lato del conduttore, per effetto, nel caso di specie, di provvedimenti legislativi assolutamente non prevedibili (c.d. factum principis)
Ciò dovrebbe tradursi, sul piano degli strumenti a tutela del conduttore colpito dalla sopravvenienza, in un denegato accesso alla disciplina della impossibilità sopravvenuta della prestazione?
In verità, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di elaborare la figura della c.d. sopravvenuta impossibilità di “utilizzazione” della prestazione, da intendersi quale vera e propria ipotesi di mancata attuazione del sinallagma contrattuale, inidonea a garantire la realizzazione degli interessi che le parti intendevano soddisfare per mezzo del contratto stipulato, sebbene a fronte di un’assenza di una reale impossibilità giuridica ovvero fisica della prestazione.
Si è al riguardo chiarito che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno. Si verificherebbe in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione (vd. Cass. 26958/2007).
Anche il conduttore, dunque, rispondendo al secondo quesito che ci siamo posti, potrà chiedere la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ricorrendo i presupposti già precisati.
- La strada della impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., come già accennato, non pare agevolmente praticabile se non nel caso limite in cui la prestazione sia divenuta definitivamente impossibile.
Potrà invece più frequentemente accadere che l’impossibilità di utilizzazione della prestazione sia solo temporanea, e non definitiva, ma che tale impossibilità faccia venir meno l’interesse del conduttore alla conservazione del contratto. In simili ipotesi, è riconosciuto al conduttore di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1464 c.c., nei modi e nei termini specificati al paragrafo successivo.
- Vi sarebbe, da ultimo, un ulteriore rimedio attivabile da parte del conduttore che, in ragione della sospensione delle attività economiche, intenda sciogliersi dal contatto di locazione: la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Ai sensi dell’art. 1467 c.c., nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. Tuttavia, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
Si tratta di un rimedio che può porsi senz’altro come alternativo al recesso ex art. 1464 c.c., con l’inconveniente, però, che la risoluzione verrà a prodursi solo con la sentenza che la pronuncia, sentenza appunto costitutiva. La locazione pertanto, unitamente all’obbligazione di pagamento del canone, sarà valida ed efficace sino a tale ultima pronuncia.
La sentenza che, in caso di contestazione giudiziaria, accerti la validità del recesso ha di contro natura dichiarativa, limitandosi ad accertare un effetto (lo scioglimento del contratto) già prodottosi al momento in cui la dichiarazione di recesso fu resa nota al destinatario.
Cosa accade se l’impossibilità di disporre dell’immobile sia solo temporanea e limitata al periodo di emergenza sanitaria?
Ritengo che, anche in tale ipotesi, potrà attingersi alla disciplina della impossibilità sopravvenuta sebbene, come già chiarito, si tratti non di una impossibilità della prestazione, che resta astrattamente possibile, bensì di una impossibilità di utilizzazione della stessa.
Difatti, se la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di ricondurre nell’alveo della impossibilità sopravvenuta totale di cui all’art. 1463 c.c. la diversa ipotesi in cui sia la utilizzazione della prestazione ad essere divenuta totalmente impossibile, vien agevole pensare che, analogamente, essa consentirà di ricorrere alla disciplina della impossibilità sopravvenuta temporanea o parziale quando per l’appunto la utilizzazione della prestazione risulti impossibile solo temporaneamente o parzialmente.
Fatta questa doverosa premessa, prima di rispondere al terzo ed ultimo quesito, resta da capire se la fattispecie di cui ci si sta occupando integri una impossibilità temporanea o parziale, con le ricadute in termini di disciplina che si vedranno.
L’impossibilità è temporanea quando non ha carattere irreversibile ma è destinata a protrarsi soltanto per un determinato periodo di tempo, oltre il quale la prestazione torna ad essere integralmente possibile.
Orbene, se a prima vista sembra potersi dire che, nel caso in esame, la prestazione è temporaneamente impossibile, ad una riflessione più attenta tale qualificazione non appare più pacifica. Infatti, quando il bene oggetto del contratto – il godimento dell’immobile, nel nostro caso – è commisurato ad un determinato arco temporale, ove si verifichi un impedimento temporaneo è chiaro che una parte della prestazione complessiva diviene impossibile in via definitiva, perché la disponibilità dell’immobile di cui non si è potuto godere per quel periodo di tempo non potrà più essere recuperata, neanche al cessare dell’evento impeditivo.
È evidente allora come si tratti di una impossibilità parziale.
La differenza tra impossibilità temporanea e parziale non è solo terminologica ma si riverbera in termini pratici sulla disciplina applicabile, arrivando così a rispondere finalmente al quesito posto.
Il legislatore stabilisce, nella sede dell’estinzione delle obbligazioni in generale, che «se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento» (art. 1256, co. 2, c.c.). In caso di impossibilità temporanea, dunque, il codice consente di rinviare il momento di esecuzione della prestazione, esclusa la responsabilità per il ritardo; prestazione che, però, cessato l’evento impeditivo, dovrà essere integralmente resa.
Il codice si occupa, all’art. 1464 c.c., del caso in cui la prestazione divenga invece parzialmente impossibile.
Ove sopravvenga un’impossibilità parziale della prestazione nell’ambito dei contratti sinallagmatici (ovvero, nel nostro caso, una impossibilità parziale di utilizzazione della prestazione), alla parte pregiudicata è attribuita una duplice possibilità:
- esigere una corrispondente riduzione della propria prestazione, in modo da ripristinare il sinallagma che altrimenti sarebbe alterato, ovvero, in alternativa,
- recedere dal contratto, laddove non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
La norma, a ben vedere, non specifica in che misura possa procedersi alla riduzione della prestazione dovuta, sicchè, in caso di contrasto, sarà chiamato il Giudice ad effettuare una simile valutazione volta a ristabilire l’originario equilibrio contrattuale, tenuto conto, in un simile momento di diffusa difficoltà, delle esigenze e degli interessi di ciascuna delle parti.
La facoltà di recesso, prima d’ora accennata, invece è riconosciuta laddove la parte pregiudicata dall’impossibilità non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
È discusso se tale interesse debba essere valutato secondo criteri oggettivi o soggettivi.
La dottrina prevalente è per una valutazione obiettiva. In particolare, l’interesse apprezzabile verrebbe meno quando l’impossibilità parziale sia incompatibile con la causa concreta del contratto.
Si è dunque definito un quadro dei rimedi esperibili a tutela del conduttore, nella speranza di aver fornito una bussola all’operatore che dovesse ritrovarsi a gestire una sopravvenienza.
Si conclude il presente elaborato osservando come il legislatore dell’emergenza non abbia inteso prendere posizione sulla sorte dei contratti di locazione in corso, rimettendola evidentemente alla disciplina generale dettata in materia di obbligazioni e contratti.
Ha solo riconosciuto al conduttore, per il mese di marzo 2020, un credito di imposta da utilizzare in compensazione, utilizzando il Modello F24, ai sensi dell’art. 17 del D. Lgs. n. 241/1997, pari al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, purché relativo agli immobili rientranti nella categoria C1.
Incentivando il conduttore all’adempimento della propria obbligazione e non intervenendo con norme di carattere eccezionale sulle locazioni in corso, il legislatore ha probabilmente dimostrato il proprio favor per la regolare esecuzione delle stesse, confidando nella disponibilità delle parti a rivedere spontaneamente, per il tempo che occorre, le originarie condizioni contrattuali.
Un atteggiamento collaborativo di tal fatta, in realtà, converrà tanto al conduttore, quanto al locatore, posto che il perdurare del contrasto tra le parti non potrà che sfociare in un contenzioso che, se già di per sé aleatorio, vedrà aumentare esponenzialmente la sua alea, in un contesto come quello odierno in cui i giudicanti si sentiranno chiamati, con ogni probabilità, a ripristinare l’equilibrio originario dei contratti.
E nemmeno il preteso legittimo esercizio di un diritto potrà fermarli poiché, per fortuna, anche il diritto può tramutarsi in abuso se esercitato in spregio al dettato dell’art. 2 Cost. ed ai doveri di solidalitarietà, reciproca in un contratto, in esso previsti.
Nardò, 10 aprile 2020
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L'avv. Alessandra De Benedittis si occupa di diritto civile, commerciale e societario. Nel 2009 consegue la laurea specialistica cum laude in Giurisprudenza presso l'Università del Salento e nel 2012, dopo l'abilitazione alla professione forense, entra a far parte dello studio. E' specializzata nel contenzioso civile e presta assistenza legale stragiudiziale e contrattuale per decine di PMI.
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L'avv. Alessandra De Benedittis si occupa di diritto civile, commerciale e societario. Nel 2009 consegue la laurea specialistica cum laude in Giurisprudenza presso l'Università del Salento e nel 2012, dopo l'abilitazione alla professione forense, entra a far parte dello studio. E' specializzata nel contenzioso civile e presta assistenza legale stragiudiziale e contrattuale per decine di PMI.