Abstract: Lo scopo della confisca è sempre la privazione di beni economici di un soggetto. Tuttavia, la natura della confisca non è ben definita, poichè varia in base ai motivi e alle finalità per le quali viene disposta. La confisca, infatti, può assumere la veste di misura di sicurezza, di misura di prevenzione, di pena accessoria, di sanzione amministrativa in base ai confini che stabilisce la legge che la prevede.
L’ISTITUTO DELLA CONFISCA
L’istituto della confisca, tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza, è ormai unanimemente definito “poliedrico”.
Ciò significa che, in generale, la confisca costituisce una misura di ablazione patrimoniale, destinata cioè a privare il soggetto che ne è attinto dei propri beni economici. Tuttavia, la natura dell’istituto non è univoca, bensì specificamente tracciata dalla normativa che la prevede espressamente.
Le finalità a cui può tendere la confisca, infatti, possono essere diverse, assumendo l’istituto talvolta una funzione di pena o di misura di sicurezza, talaltra di misura amministrativa.
Ma vediamo nel dettaglio che cosa si intende per privazione dei beni economici.
In proposito, occorre dapprima chiarire che cosa si intende per prodotto, profitto e prezzo del reato.
- Il prodotto del reato coincide con risultato derivato dal compimento del fatto illecito;
- Il profitto del reato coincide con il guadagno che il soggetto ha conseguito dal compimento del fatto illecito;
- Il prezzo del reato coincide con quanto promesso in pagamento ad un soggetto per la realizzazione di un determinato fatto illecito.
LA CONFISCA NEL CODICE PENALE
Soffermandoci sulle ipotesi di confisca previste nel codice penale, è possibile notare che l’istituto in parola viene collocato dal Legislatore tanto nell’ambito delle misure di sicurezza patrimoniali (art. 240 c.p.), quanto nell’ambito delle sanzioni penali (art. 322 ter c.p.).
– Nel primo caso, la confisca prevista dall’art. 240 c.p. assolve una funzione preventiva, poichè consiste nell’espropriazione, di regola facoltativa, in favore dello Stato di cose che servirono a commettere il reato o che ne costituiscono il prodotto o il profitto diretto, così da evitare che restino nella disponibilità del condannato incentivandolo a commettere ulteriori reati.
L’art. 240 c.p. prevede, altresì, la confisca obbligatoria delle cose che costituiscono il prezzo del reato, dei beni e degli strumenti informatici o telematici utilizzati in tutto o in parte per la commissione di specifici reati elencati dalla stessa norma, nonché delle cose la cui fabbricazione, detenzione, uso o alienazione costituisca reato.
– Nel secondo caso, invece, l’art. 322 ter c.p. individua una ipotesi di confisca definita “per equivalente”, inquadrabile nell’ambito delle sanzioni penali e non delle misure di sicurezza patrimoniali.
La suddetta norma dispone sempre la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di specifici delitti contro la Pubblica amministrazione indicati dalla stessa disposizione di legge o, quando ciò non sia possibile, la confisca dei beni di cui il condannato ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
La confisca per equivalente, dunque, può avere ad oggetto anche beni non direttamente riconducibili al profitto o al prezzo del reato, ossia beni diversi che si trovano nella disponibilità del soggetto condannato o che vi subentrino successivamente al provvedimento di confisca fino alla concorrenza dell’importo determinato.
Ne deriva che l’istituto in parola ha carattere afflittivo e assolve una funzione ripristinatoria della situazione economica modificata dalla commissione del fatto illecito da parte del condannato, disponendo la corresponsione di somme di denaro corrispondenti al prezzo o al profitto derivato dal reato.
IL PARTICOLARE ISTITUTO DELLA CONFISCA “ALLARGATA”
Con il d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, nel nostro codice penale, all’art. 240 bis c.p, è stata inserita una particolare forma di confisca definita “allargata”, inquadrabile anch’essa nell’ambito delle misure di sicurezza.
Tale forma di confisca era già disciplinata dall’art. 12 sexies della L. 356/1992.
Il Legislatore del ’92, infatti, con la confisca cd. “allargata” aveva l’obiettivo di fronteggiare il fenomeno della criminalità organizzata aggredendo le ricchezze patrimoniali accumulate illecitamente dai soggetti condannati per reati definiti “spia”, cioè quei reati commessi in forma organizzata, spesso reiterata e, dunque, sintomatici di una elevata pericolosità sociale del soggetto.
Infatti, l’attuale art. 240 bis c.p. statuisce che, nelle ipotesi di condanna per determinati reati specificamente indicati dalla stessa norma, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui risulti titolare o avere la disponibilità in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.
A differenza della confisca di cui all’art. 240 c.p., la confisca “allargata” si fonda su una “presunzione di illecita accumulazione patrimoniale”, cioè viene meno il necessario presupposto del “nesso di pertinenzialità” che dovrebbe sussistere tra i beni che derivano dal fatto criminoso per cui è intervenuta la condanna e quelli oggetto di confisca.
In altri termini, intervenuta la condanna per i reati previsti dalla norma, l’art. 240 bis c.p. stabilisce che la confisca va sempre ordinata quando sia dimostrata la esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la titolarità o la disponibilità e il reddito da lui dichiarato e non risulti una giustificazione credibile circa la loro provenienza.
Tali indicatori consentono, dunque, di confiscare beni che non derivano necessariamente dal reato oggetto di accertamento (confisca prevista dall’art. 240 c.p.), ma che possono ritenersi ragionevolmente ricollegati alla presumibile continuità di azione criminosa e al livello di pericolosità espresso dal soggetto condannato.
CONCLUSIONI
Ciò che contraddistingue la confisca cd. “allargata” rispetto alla confisca ordinaria è, dunque, la presenza di un meccanismo presuntivo, che consente infatti di presumere l’accumulazione di ricchezza derivante dall’illecito commesso dal condannato quando è palese la ingiustificata sproporzione tra il valore dei beni di cui lo stesso è titolare e il reddito dichiarato.
Tale presunzione alleggerisce l’onere della prova gravante sul Pubblico Ministero, in quanto consente di superare il presupposto richiesto dalla confisca ordinaria costituito dalla necessaria prova del nesso di pertinenza tra i beni da confiscare e il reato per cui è pronunciata la condanna.
La sola ragionevole presunzione, pertanto, consente di contrastare meglio e più efficacemente i delitti di criminalità organizzata, aggredendone le ricchezze patrimoniali che ne sono “presumibilmente” derivate e, dunque, privando i soggetti condannati della materiale disponibilità economica di proseguire nei loro propositi criminosi.
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Laureata presso l’Università degli Studi di Lecce con una tesi dal titolo “Il Concorso esterno nel reato associativo” relatore
prof. Matteo Caputo, si abilita alla professione di avvocato dal 2020.
Ha concluso nel luglio 2019 un tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 (convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98) presso
il Tribunale del Riesame di Lecce, nel corso del quale ha assisto e coadiuvato il Magistrato affidatario dott. Antonio Gatto,
giudice del Tribunale del Riesame di Lecce, il quale ha valutato come “Eccellente” l’attività posta in essere dalla
professionista durante i diciotto mesi formativi.
Aree di competenza:
- Diritto Amministrativo
- Diritto penale
- Sistemi di compliance aziendali (231, anticorruzione, ecc.)
- Lead Auditor sistemi di gestione per l’anticorruzione in conformità alla ISO 37000:2016
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Ha concluso nel luglio 2019 un tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 (convertito con legge 9 agosto 2013, n. 98) presso
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