Giornata mondiale della vita e Giornata mondiale del velo islamico
Giorni fa, per puro caso, mi sono imbattuta in un messaggio di Papa Giovanni Paolo II sulla giornata dedicata alla “vita consacrata” che si celebra il 2 febbraio, ed ho trovato alcune parole che, ancora oggi, fanno molto riflettere: “(…….) totale donazione della propria vita per quanti sono stati chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel Mondo” i tratti essenziali, in questo caso, del Cristianesimo.
Quanti di noi, in maniera più o meno consapevole, portano nel mondo, o sul posto di lavoro, i propri principi e/o valori, anche religiosi?
Ciascun individuo, non importa se cittadino, straniero od apolide, ha il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa(art. 19 Costituzione).
Diritto di manifestare
Nell’ambito della libertà religiosa è ricompreso anche il diritto di manifestare liberamente la propria identità religiosa attraverso l’uso di simboli o nel vestiario, come possono essere i particolari abiti dei chierici e dei religiosi cattolici, ma anche il copricapo ebraico o il velo islamico.
Una circolare del Ministero dell’Interno del 2000 ha precisato, ad esempio, che il turbante, il chador o anche il velo, sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, purchè il volto resti scoperto e, quindi, ben visibile.
Ma, provando a traslare il concetto di libertà religiosa sul posto di lavoro, cosa accade?
Sul posto di lavoro
Il lavoro assorbe gran parte della nostra quotidianità a tal punto che anche nell’ambiente lavorativo si manifesta la propria appartenenza religiosa: ecco allora che bisogna creare il giusto equilibrio tra libertà di religione per i lavoratori e libertà del datore di lavoro di porre in essere comportamenti che assicurino la salubrità mentale ed operativa della propria azienda.
Occorre, quindi, capire se esiste il diritto del lavoratore di esprimere la propria appartenenza ad una religione piuttosto che ad un’altra (anche attraverso simboli religiosi sul luogo di lavoro) e se esiste il diritto del datore di lavoro di vietare l’utilizzo di tali segni distintivi.
Ad oggi non esiste una soluzione chiara, precisa e concordante: si tratta di operare una valutazione caso per caso, non mancando di precisare che sarebbe discriminatorio da parte del datore di lavoro prevedere un divieto, all’interno della propria azienda, per i lavoratori che professano l’appartenenza ad un determinato credo religioso, senza che ricorra una valida giustificazione.
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