Approfondimento a cura dell’Avv. Pierandrea Fulgenzi
Il lavoratore può decidere di rinunciare ai propri diritti o d’accordo con il datore di lavoro di farne oggetto di transazione. In questo caso il lavoratore deve essere assistito da un soggetto terzo: Autorità Amministrativa; Sindacale; Giudiziaria, che gli garantisce una protezione adeguata all’interno di una sede protetta.
Nella fase di stipulazione del contratto di lavoro o anche successivamente il lavoratore può rinunciare o transigere liberamente con riferimento a diritti disponibili contemplati dalla legge o dal CCNL (es. compenso pattuito nel contratto individuale che si aggiunge a titolo di c.d. superminimo al minimo contrattuale spettante al lavoratore).
È possibile rinunciare anche a diritti inderogabili (si pensi al diritto alle ferie), purché essi siano già entrati nella disponibilità del lavoratore, quindi già maturati e non si tratti, invece, di diritti futuri, incerti a carattere indeterminato e/o indeterminabile.
Affinché ciò avvenga, però, è necessario che tali rinunce o transazioni vengono poste in essere in sede protetta.
Ora, la rinuncia è una dichiarazione unilaterale di volontà o un comportamento concludente posto in essere dal lavoratore, peraltro essa può essere anche tacita, purché si evinca in modo inequivocabile e senza che vi sia diversa interpretazione la volontà di rinunciare al diritto.
Per contro, invece, la transazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1965 c.c., è un contratto con il quale le parti (lavoratore e datore di lavoro) pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Sotto questo punto di vista, sebbene non vi sia necessità di rispettare un vincolo formale, è necessario sottoscrivere la transazione in forma scritta al fine di dare prova dell’esistenza dell’atto.
Il contenuto di quest’ultimo può essere il più vario, purché rispetti le caratteristiche di cui all’art. 1346 c.c. che, in relazione all’oggetto del contratto, riferisce della sua liceità, possibilità e determinatezza/determinabilità.
Elemento fondamentale all’interno di un atto di transazione è l’emersione di una reale consapevolezza delle parti circa i diritti oggetto delle reciproche concessioni (Cass. 8 novembre 1999, n.12411) sicché deve dall’atto emergere una reale volontà abdicativa del diritto (ex multis Cass. 23 ottobre 2020, 23385).
Come detto accordi afferenti diritti inderogabili dei lavoratori possono essere sottoscritti all’interno di sedi protette, alla luce del combinato disposto degli artt. 411 e 412 ter c.p.c., purtuttavia occorre sempre verificare che l’operazione con cui la parte debole del rapporto perviene alla rinuncia delle sue prerogative venga a svolgersi, dall’inizio alla fine, all’interno di luoghi che siano estranei al contesto lavorativo e dove siano presenti soggetti in grado di consentire al lavoratore di porre in essere un consenso ponderato e consapevole.
Sedi protette sono: Giudiziarie (art. 185 c.p.c.); Amministrative (Commissione di conciliazione presso ITL ex art. 410 c.p.c); Sindacali (Commissione di conciliazione ex artt. 411 e 412 ter c.p.c.).
Il mancato rispetto di queste formalità inficia l’iter attraverso cui le parti addivengono alla concretizzazione del negozio di rinuncia o transazione e ciò apre la strada dell’impugnazione dell’atto, nel momento in cui lo strumento alternativo alla controversia si è dimostrato del tutto inadeguato alla tacitazione delle istanze del lavoratore verso parte datoriale.
Secondo la giurisprudenza di legittimità: […] Le rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, stipulate in sede sindacale, non sono valide e sono impugnabili a norma dell’art. 2113, 2° e 3° comma, c.c. nel caso in cui non risulti che l’assistenza del lavoratore ad opera di un rappresentante sindacale sia stata effettiva, consentendogli di individuare esattamente il diritto al quale rinuncia e a fronte di quale vantaggio (nella specie, la corte ha censurato la sentenza impugnata per non avere sufficientemente verificato l’effettività dell’assistenza sindacale del lavoratore, ritenendo irrilevante il fatto che questi fosse assistito da un avvocato e avesse ricevuto dai conciliatori generiche informazioni sulla transazione) […] (ex pluribus Cass. 23.10.2013, n. 24024).
Ciò sta a significare che all’atto della sottoscrizione della rinuncia o della transazione su diritti inderogabili il lavoratore deve essere cosciente delle conseguenze cui va incontro attraverso la prestazione del proprio consenso, sicché la maggior parte delle controversie sul punto si determinano proprio quando tali accordi sono sottoscritti fuori dalle sedi all’uopo previste dalla legge (Cass. 16 luglio 2013, n.17369).
Orbene, sulle modalità con cui rinunce e transazioni possono essere impugnate è possibile delineare il seguente meccanismo:
- Azione di nullità: nel caso di rinuncia su diritti futuri ed eventuali, ovvero non determinati e/o determinabili. In questo caso, trattandosi di nullità, il lavoratore non alcun termine di decadenza da rispettare e può impugnare senza una specifica forma.
- Azione di annullamento: art. 2113, commi 2, 3 e 4 c.c. – quando la rinuncia o la transazione ha ad oggetto diritti indisponibili ed è stata sottoscritta fuori da una sede protetta. In questo caso il lavoratore deve rispettare il termine di decadenza di mesi 6 che decorre:
- Dalla data di cessazione del rapporto di lavoro se l’atto di disposizione è avvenuto nel corso del rapporto di lavoro;
- Dalla data in cui è avvenuto l’atto se quest’ultimo è intervenuto dopo la cessazione del rapporto.
Tale impugnazione può essere effettuata con qualsiasi atto scritto in grado di rendere nota la volontà del lavoratore anche con atto sottoscritto da un legale dallo stesso nominato a cui viene conferito mandato di porre in essere la contestazione del contenuto dell’atto di rinuncia o transazione.
Quindi, l’impugnazione può avvenire non solo con il deposito del ricorso giudiziario presso la competente Sezione Lavoro del Tribunale, ma anche attraverso semplice lettera indirizzata al datore di lavoro (sul punto Cass. 16 giugno 1987, n.5346).
Si precisa che nel caso di successione di due distinti rapporti di lavoro fra le stesse parti, la persistenza del secondo rapporto non sospende la decorrenza del termine per l’impugnazione della transazione o della rinuncia relativa a diritti attinenti al primo rapporto; il termine, quindi, decorre dalla data di cessazione del primo rapporto (Cass. 9 febbraio 1989, n. 813).
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