di Gianfranco D’Ambrosio
IL DRAMMA DELLA SOFFERENZA
Gianfranco D’Ambrosio, laureato in Economia e Commercio, Vice Direttore del Banco di Napoli sino al 1989 come dirigente e con funzioni ispettive presso le filiali. Successivamente esercita la professione di Commercialista ricoprendo il ruolo di curatore, perito e consulente presso il Tribunale di Lecce, ha ricoperto, altresì, diversi incarichi come commissario nelle gestione straordinarie per conto della Banca d’Italia. Autore di articoli di natura economico-aziendale ha pubblicato il libro autobiografico Nonno Anco e per Luca Pensa Editore (2017) Uomini di paglia – Un intrigo Bancario, (2021) Giustizia e Verità.
Il Dramma della sofferenza, pubblicato da Luca Pensa, Editore salentino, rappresenta per l’Autore Gianfranco D’Ambrosio (a suo dire) l’ultimo esercizio di scrittura, anzi l’occasione per un affettuoso saluto ai suoi affetti più cari, amici e lettori.
Chi, come il sottoscritto, ha avuto il piacere di scoprire sia la scrittura di Gianfranco D’Ambrosio, che Egli stesso, auspica in un revirement dell’Autore, affinché possa catturare ancora, con le sue pagine, l’attenzione di molti di noi e non terminare con questo pregevole pamphlet la sua carriera di scrittore.
Tuttavia, auspici a parte, l’Autore consegna al lettore, in poche ma intense pagine, sé stesso, disvelando l’intima fragilità dell’anima e raccontando, con dovizia di particolari, l’evolversi di una malattia, che sembra condannarlo, da cinque anni a questa parte, ad una forzata reclusione, in una casa che, pur grande, appare dalle mura sin troppo strette.
Ascoltare, conoscere ed amare: tre verbi che, per l’Autore, sembrano avere un senso compiuto solo se coniugati contemporaneamente; e quale spazio migliore per farlo se non nella sofferenza.
L’apodalgia segna la cifra della fragilità di D’Ambrosio che, tuttavia, pur confessando momenti di sconforto, riesce a curarla con una “flebo” abbondante di ricordi attraversati da un’osservazione più acuta di ciò che ci circonda e che, fino a quel momento, era oggetto di osservazioni distratte, prive di senso.
Ed ecco che oggetti come il “letto di ottone” o i tanti quadri o statue di carta pesta, che ornano le pareti e gli arredi di casa D’Ambrosio, consentono all’autore di partecipare al lettore la carica emotiva dei propri ricordi.
Gianfranco, nonno, padre, marito, professionista, amico, volontario, amante del bello si affaccia nelle pagine chiare e nelle pagine scure del “Dramma” della sofferenza, con rispetto, senza rassegnazione, offrendo sempre la possibilità alla felicità di recuperare il terreno perduto.
Tra le righe del racconto emerge, forse inconsapevolmente (avrò modo di domandarglielo), il pensiero del filosofo contemporaneo Byung Chul Han, che a proposito dell’anestesia del dolore sostiene:
“…abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, viviamo un’anestesia permanente, abbiamo medicalizzato il dolore, ci perdiamo anche i doni più belli e più spirituali del dolore, la sua forza etica, solidale, purificatrice. Preferiamo rinunciare all’amore e ai legami intensi perché comportano dolore. Sottrarsi alla storia per sottrarsi ai suoi patimenti. Preferiamo vivere meno per soffrire meno”.
Inoltre, come un ossimoro violento, nel rumore della vita, emerge il valore del silenzio.
Le pagine in cui D’Ambrosio stigmatizza l’odio dell’uomo verso l’uomo, la guerra, la sopraffazione tra pari, fanno il paio con l’apologia del silenzio.
Il silenzio viene disegnato dall’Autore come naturale contrappasso al rumore dell’odio della nostra società. Del resto, il grande Ludwig Van Beethoven dette inizio alla sua magistrale opera “quinta sinfonia” con (il silenzio), la “pausa accentata” che precede il “bussare del destino”.
Tanti richiami ad aforismi, passi religiosi e frasi di illustri pensatori, scrittori, vicini e lontani dai nostri tempi: da Madre Teresa di Calcutta ad Alda Merini, da Kote a Chaplin.
Se è vero, come diceva Benjamin, che: “la prospettiva è data dal collocarsi in un presente sospeso tra l’orizzonte delle esperienze e l’orizzonte delle aspettative”, la prospettiva per l’autore ha una vocazione teologica, perché la sofferenza non è altro che un dono di Dio.
L’aspettativa che Gianfranco D’ambrosio sembra disegnare per sé stesso, in questo che lui descrive come ultimo suo scritto, che noi speriamo la vita possa smentirlo, è quella di lasciare ai suoi affetti il ricordo di un amore sincero, fatto di pregi e difetti di successi e insuccessi; ma, soprattutto, di ricongiungersi a Dio, quando sarà il momento, con la giusta serenità conquistata in anni di sofferenza e fragilità.
Buona lettura.