di Michela Murgia
TRE CIOTOLE
Rituali per un anno di crisi
Michela Murgia è una scrittrice e giornalista italiana, nota per i suoi romanzi e i suoi interventi pubblici. Si presenta come una voce autorevole nel panorama letterario e intellettuale italiano ma spesso il suo lavoro sembra caratterizzarsi più per la retorica che per una profonda analisi delle tematiche affrontate. Le sue opere riflettono le sue posizioni politiche e ideologiche, offrendo un punto di vista fortemente influenzato dalla sua visione del mondo. Alcuni critici sostengono che la Murgia tenda a enfatizzare le sue esperienze personali e a trasformarle in narrazioni generalizzate, mancando così di una prospettiva più ampia e inclusiva. La sua scrittura può risultare pretenziosa e autoreferenziale, privilegiando l’autobiografia e il confessionale rispetto alla ricerca di una comprensione più universale delle vicende umane. Utilizza un linguaggio polemico e militante nei suoi interventi pubblici, presentando le sue idee come indiscutibili e non offrendo spazio al dibattito e alla pluralità di opinioni, atteggiamento dogmatico che può limitare la sua capacità di coinvolgere e dialogare con un pubblico più ampio. Nonostante le sue posizioni politiche dichiarate, le sue opere tendono a semplificare le questioni complesse in modo da adattarsi a una narrazione preconfezionata. Questo può portare alla perdita di sfumature e alla mancanza di una riflessione critica più approfondita. In definitiva, Michela Murgia è una figura controversa nel panorama letterario italiano, apprezzata da alcuni per il suo impegno politico e sociale, ma criticata da altri per la sua retorica e la sua mancanza di profondità nell’analisi delle tematiche trattate.
Sarà che prende i natali e carattere da una regione, la Sardegna, che ha un chè di essenziale, di ruvido, di severo ma anche di odori acri, la Murgia, specie dopo la rivelazione d’essere una malata terminale, è entrata nel dibattito letterario con la sua ultima fatica: “Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi” che sta scalando le classifiche di vendita. Il dubbio che la condizione dell’autrice sia alla base delle vendite è forte e, proprio per questo, scrivere del suo nuovo libro senza lasciarsi influenzare dal vivace dibattito che la circonda non è un compito facile.
Le opinioni divergenti emerse nelle settimane successive alla sua uscita, insieme alla franchezza con cui l’autrice ha raccontato la sua lotta contro la malattia, hanno scatenato una fitta danza di sostenitori e critici.
Questa dinamica può incuriosire molti ma alcuni lettori potrebbero alla lunga sentirsi stanchi, con l’impressione di essere immersi in un vortice di voci e prese di posizione parziali che si contendono il titolo di chi parla (o meglio, scrive) più forte sullo stesso argomento.
Tuttavia, coloro che ci seguono sanno bene che amiamo parlare principalmente dei libri, sia pur non dimenticandoci del mondo che ci circonda e l’influenza che inevitabilmente modella anche le sensazioni.
Per questo posso dare uno sguardo parziale, inteso proprio come di parte da colui che, gli asterischi o la schwa proprio non li sopporta ed, anzi, li considera la rappresentazione grafica lampante dell’inconsistenza delle opinioni politiche e morali da cui traggono natali.
Concentriamoci, quindi, sul testo stesso, sulle sue dinamiche interne piuttosto che sulle possibili costruzioni esterne. Lo facciamo perché questa è la prospettiva che meglio rispecchia la nostra concezione della letteratura, in qualsiasi forma essa si manifesti.
Parliamo allora di “Tre ciotole” per ciò che effettivamente mi è sembrato, superando sia gli elogi acritici verso l’autrice che le ormai stantie controversie da salotto letterario.
Si tratta di dodici racconti che si originano da momenti di crisi. I brevi testi presenti nel volume derivano da diverse riflessioni su ciò che si prova e si affronta quando il mondo che credevamo di conoscere improvvisamente implode su se stesso. Murgia li definisce una raccolta-romanzo, sottolineando l’unicità dello sguardo e la sistematicità del sentimento. Effettivamente emergono correlazioni tra i personaggi (a volte sorprendenti), come se si osservassero reciprocamente mentre le loro vite prendono direzioni impreviste.
Vengono diagnosticati disturbi, si verificano separazioni di coppie che devono imparare nuovi modi di vivere, si affrontano separazioni familiari e si prendono decisioni irreversibili. Tutti i personaggi condividono la ricerca di equilibri emotivi alternativi all’interno di situazioni che mettono in evidenza il cambiamento. Un insieme di nuove rotte prende forma, mentre i personaggi mutano e cambia il modo in cui se ne parla (con diversi tipi di racconto, punti di vista e scelte stilistiche).
Il tema della raccolta è indubbiamente attuale, un’eredità anche del Covid-19: come noi, esseri umani, ci adattiamo ai nostri nuovi sé. Come possiamo dar loro voce e riconoscerli.
Tuttavia, nonostante la rilevanza del tema, il modo in cui viene affrontato lascia spazio a delle critiche. La narrazione risulta frammentata e non sempre pienamente convincente nel trasmettere l’intensità e la complessità delle situazioni. Le relazioni tra i personaggi spesso sembrano forzate e i cambiamenti che affrontano risultano talvolta superficiali. Inoltre, la varietà di stili e punti di vista può rendere la lettura disorientante e dispersiva, senza una vera coesione complessiva.
I racconti presenti nel libro non hanno tutti la stessa forza d’impatto. Quelli che risaltano maggiormente sono quelli che affrontano profonde fragilità dell’io: la nausea di una donna esausta, il recupero degli spazi di una città perduta, la paura di contagio da un virus, i ricordi di un trauma infantile che rivivono nel corpo senza vita di un animale.
Altri racconti sembrano invece scritti per dimostrare qualcosa, quasi come una posizione predefinita. Sembra di essere condotti verso una tesi preconfezionata e diventa difficile provare empatia.
Il paradosso di Murgia come scrittrice “politica” (con un certo punto di vista sul mondo, un’attenzione alla realtà e una volontà di intervenire) sembra essere che riesce a emozionare di più quando i suoi sottotesti politici sono meno evidenti. In questi momenti emergono frammenti di maggiore complessità, in cui la fragilità non viene nascosta o persa e il tono didascalico lascia spazio alle domande.
Pertanto, in questa sede, non ha molto senso interrogarsi sul fatto che l’autrice parli o meno della realtà, dei partiti politici al governo, dell’avanzare del fascismo o dei fatti di cronaca nei suoi libri, su Instagram o al Salone del Libro. Commentiamo il modo in cui le storie che ha raccontato parlano o non parlano di noi, chiedendoci se qualcosa risuona dentro di noi come individui, trovando risposte personali.
Ritengo che il filo conduttore migliore sia lo scoprire cosa pensa l’autrice della malattia e della morte per quel senso voyeuristico di comprendere una narrazione da reality show nei media in cui compare Michela Murgia.
È un volume nato dall’urgenza di condividere…”le tre ciotole”, che rappresentano quelle utilizzate dalla protagonista di una delle storie per ritrovare nutrimento dove pensava fosse impossibile, quasi un esercizio mentale interiore espresso su carta per i lettori che possano trovare sostentamento in nuovi rituali e risorse di sopravvivenza inaspettate.
E, per questo, è un libro che va comunque letto. Criticamente.
Buona lettura.
Gianpaolo Santoro