Piercamillo Davigo è stato presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, consigliere e poi presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione, in servizio alla Seconda Sezione penale dal 2005, e dal 2018 al 2020 è stato componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Entrato in Magistratura nel 1978, è stato assegnato al Tribunale di Vigevano con funzioni di giudice, poi dal 1981 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con funzioni di sostituto procuratore. Dal 1992 ha fatto parte del pool Mani pulite, trattando procedimenti relativi a reati di corruzione e concussione ascritti a politici, funzionari e imprenditori. Dal dicembre del 2000 è stato consigliere della Corte d’Appello di Milano. Per Laterza ha pubblicato: con D. Pinardi, La giubba del re. Intervista sulla corruzione, Collana Saggi tascabili (1998-2004), con G. Mannozzi, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Collana Libri del tempo n.407, (2007), con Leo Sisti, Processo all’italiana, Collana I Robinson. (2012), per Longanesi con G. Colombo, La tua giustizia non è la mia. Dialogo fra due magistrati in perenne disaccordo, Collana Le spade n.43 (2016), per Paper First con S. Ardita, Giustizialisti. Così la politica lega le mani alla magistratura, Prefazione di Marco Travaglio (2017).
Il saggio si apre con una frase “…Credo che il delitto alla lunga renda bene, insomma, offra soddisfazioni…” che Woody Allen fa pronunciare a Virgil Starkwell in Prendi i soldi e scappa e finisce con il Salmo 72 “ho invidiato i prepotenti, vedendo il successo dei malvagi”.
L’autore, “colto” sul fatto, evidenzia come: in Italia si è creato un sistema per cui i reati non subiscono, se non raramente, apprezzabili conseguenze; c’è una sostanziale impunità dinanzi a condotte gravi se non gravissime; da qui, la conclusione, apparentemente, sacrilega contenuta nel titolo disvela, al contrario, una fotografia reale e senza sconti.
Come affermava Sartre: “ogni parola produce delle conseguenze ogni silenzio pure”.
Il saggio di Davigo usa le parole giuste e anche qualche silenzio ed apre una porta al lettore su un tema sempre attuale e complesso come la legalità.
L’Italia dei mille condoni: fiscali, edilizi, valutari, previdenziali, assicurativi, immobiliari e degli avvocati, 368 ogni 100 mila abitanti, molti, troppi, che concorrono a rendere l’amministrazione della giustizia farraginosa ed eccessivamente lenta.
Nota l’Autore come: “… ad ogni condono il messaggio che viene percepito è che dichiarare i propri redditi reali non è conveniente, che la possibilità di essere scoperti è bassa e che, alla peggio, arriverà un condono prima che la lite finisca in Cassazione. Ovviamente i Governi mettono in luce come il ricorso ai condoni dia un gettito “aggiuntivo” (?) che però non è compensato affatto dai danni (molto superiori) che arreca in quanto incoraggia ad una ulteriore evasione ed elusione. Ciò rafforza nelle convinzioni coloro che sostengono che non conviene osservare le regole ma piuttosto violarle.”
Davigo ironizza, altresì, sulla capacità del legislatore di travisare la realtà con la retorica degli slogan ad effetto; per esempio la “pace fiscale” non è altro che un condono con il make-up, un premio ai soliti furbetti ed un calcio nelle parti basse degli onesti, che al danno di aver fatto il proprio dovere subiscono la beffa di trovarsi sulla stessa linea di partenza i trasgressori, come se niente fosse.
Il testo è, per un verso, rigoroso basandosi su fatti realmente accaduti e scrutinati dalle Autorità Giudiziarie, per altro verso, semplice nelle scelte lessicali e nella forma narrativa.
Nel libro si evince una informazione buona e onesta animata da tensione di verità che non rinuncia ad una funzione etico-pedagogica, libera e trasparente.
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