di ANDREA TARABBIA
IL CONTINENTE BIANCO
ROMANZO
Recensione a cura di Maria Pia Carlucci
Uno scritto incompiuto esercita sempre una suggestione, il fascino del non finito che stuzzica la fantasia del lettore. Tra gli infiniti possibili finali che l’autore avrebbe potuto scrivere, ogni lettore sceglie il proprio. Da questo stimolo è partito Andrea Tarabbia per il suo ultimo romanzo, Il continente bianco, candidato al Premio Strega 2023. L’autore riprende L’odore del sangue, di Goffredo Parise, incompiuto pubblicato postumo nel 1997 e trasposto nell’omonimo film da Mario Martone nel 2004. Tarabbia ne riprende il nucleo narrativo: una donna borghese, Silvia, moglie dello psicoanalista Filippo P***, un po’ per noia e un po’ per desiderio di vita diventa l’amante di un attivista di estrema destra, Marcello Croce. La storia viene trasferita nell’attualità dei nostri giorni e ci conduce in un mondo feroce di svastiche, rune celtiche, azioni eversive che mirano alla sopraffazione come valore in sé.
Il tentativo di dialogare con il testo di Parise e completarlo in modo originale risulta pienamente riuscito. Il risultato è un avvincente romanzo in cui l’autore stesso si fa personaggio per indagare pagine torbide della storia recente italiana. L’intento, infatti, non è quello di dare compiutezza alla storia, quanto piuttosto quello di indagare le pulsioni distruttive dell’uomo, il fascino perverso del male e la tensione verso le esperienze più estreme.
Nel romanzo il bianco è un colore che ribalta un immaginario che tradizionalmente associa la destra al nero. “Continente bianco” è il nome che si dà un’organizzazione segreta di stampo neonazista che pianifica una specie di controrivoluzione armata, guidata dal miraggio di poter realizzare una società dove ognuno rispetta regole e gerarchie. Il bianco a cui questa organizzazione si ispira è quello in cui si annullano tutte le differenze, in cui gli apocrifi valgono quanto le scritture documentate, in cui la violenza, la sopraffazione, l’odio danno la forza di vivere e di lottare. Il personaggio centrale è Marcello Croce, che attrae con la sua bellezza angelica e un magnetismo che trascina inesorabilmente verso il male.
È un individuo delicato, fragile all’apparenza. Sembra uno di quei Cristi disegnati nei libriccini del catechismo per bambini: biondi, buoni, puliti e calmi anche nel mezzo di una tormenta di sabbia o di un incendio, con uno sguardo che sembra dirti che non ci saranno problemi, se lo seguirai, che non ci saranno il Male né il dolore e tutto alla fine sarà giusto.
Il fascino del Male, dunque, è strettamente correlato a quello per la purezza, ovvero all’esclusione di tutto ciò che non rientra nella nostra visione delle cose. Il Male di Marcello Croce viene generato per il semplice fatto che quest’ultimo ha creato un sistema di valori in cui tutto ciò che non rientra nei suoi parametri deve essere sradicato ed eliminato. Ciò che appare brutale ai nostri occhi nell’osservare le azioni di Marcello, per lui invece è un modo di fare il Bene, poiché frutto di una visione distorta del mondo che lui interpreta come corretta. Stabilire universalmente cos’è Bene e cos’è Male, allora, appare difficile: tutto dipende dalla prospettiva che si adotta nell’osservare la realtà e persino l’identità del soggetto risulta indefinita e frantumata.
«Il mondo è sottile e piano» disse. «È semplice, ha dei confini limitati, circoscritti, che lo rendono facilmente comprensibile, se hai un posto da dove guardarlo. Io ce l’ho […] tu no, non ce l’hai, o almeno non credo, perciò vaghi, frughi nelle vite degli altri per dare un senso alla tua. Ti affascinano cose terribili e questo fascino ti spaventa, perché hai paura che, nascosto dentro questo sentimento, ci sia qualcosa che dice che, nel tuo profondo, sei un uomo peggiore di quello che credi di essere».
Nelle grandi narrazioni sono quasi sempre gli antagonisti, i malvagi, a conferire fascino e colore alla storia. Il male di cui si circonda Marcello Croce è tristemente noto alla storia italiana. Senza scadere nello stereotipo, l’autore ricostruisce un mondo fatto di persone, di valori, di idee e di storia così verosimili da risultare quasi reali. Probabilmente, pur modificando dati e nomi, Tarabbia ha attinto dalle vicende della cronaca attuale per costruire l’impalcatura del “suo” movimento neo fascista.
Ma se da un lato l’ideologia del Continente bianco appare estranea alle convinzioni personali dell’autore, d’altra parte è chiarissima l’intenzione di evitare ogni tentativo di esplicita accusa morale. I protagonisti del movimento sono spinti tutte da motivazioni diverse e ognuno trova il proprio spazio nel romanzo: dall’ideologia feroce di Marcello Croce a quella più politica di Malaspina, passando per quella estetica dell’uomo che chiamavano Werner, fino alla violenza brutale e ingenua di Ubu, ognuno è mosso da qualcosa. Non leggiamo dunque una critica aperta, né un tentativo di opposizione. Sarà il lettore a formulare il suo giudizio, a riflettere sui fatti, a dare significato alle parole dei personaggi, come la definizione che il dottor Filippo P*** propone al suo paziente:
L’Italia è uno Stato democratico imposto con la forza a una nazione intimamente fascista.
Se vogliamo dar credito alle parole che l’autore mette in bocca al suo alter ego nella storia, la scrittura che troviamo in questo romanzo è una forma di psicoterapia catartica, uno strumento per «un uomo tanto ordinario» di «raccontare certi orrori, descrivere nel dettaglio l’abbrutimento e la barbarie» della nostra epoca.
Maria Pia Carlucci
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